Capitolo 2


 Inizialmente, John non aveva intenzione di rimanere più di qualche giorno in quel paese. Anche dopo aver viaggiato per un giorno intero da Londra, e nonostante la sera stesse portando con se la morsa del freddo della Scozia, egli intendeva iniziare il suo racconto il più presto possibile – più rapidamente avrebbe finito, più rapidamente sarebbe potuto tornare a casa.

 

 Lavorare per una grande società immobiliare, era questo il suo lavoro, facilitava i ricchi clienti nella ricerca di un terreno sul quale poter costruire. Il cliente che rappresentava in quel momento era particolarmente interessato ad acquistare alcuni terreni agricoli, in un meraviglioso contesto di campagna, dove desiderava costruire una casa per la sua famiglia, in cui poter passare le vacanze. Il luogo in questione era stato recentemente messo in vendita da un contadino del posto, il quale era in tempi difficili dopo l’afflosciamento dell’economia. John venne quindi assunto per valutare quel terreno, sulla base delle raccomandazioni di alcuni periti che erano stati lì la settimana precedente.

 

 Dopo essersi registrato nel The Laird of Dungorth, guidò con la sua auto fino alla fattoria, la quale era a poche miglia dal paese. L’intera area era costituita da enormi campi dove venivano coltivati i raccolti e venivano fatti pascolare gli animali, qualche zona boschiva, e qualche fiumiciattolo o ruscello qua e là. Le negoziazioni furono, tutto sommato, semplici: il contadino – un anziano signore di nome Dale – aveva bisogno di una somma di denaro il più presto possibile per poter mantenere la sua fattoria, mentre il cliente era entusiasta del potenziale guadagno che poteva trarne e desiderava concludere rapidamente quell’affare.

 

 Indipendentemente da ciò, John stava sempre molto attento a chiudere una trattativa prima che egli stesso desse un’occhiata al terreno. Negli anni, aveva acquisito una grande reputazione nell’essere in grado di fornire al cliente esattamente quello che richiedeva, senza alcun tipo di spiacevole sorpresa della zona come, ad esempio, la subsidenza o altre difficoltà di costruzione dell’area. Anche se, in realtà, John non era molto entusiasta di lavorare nell’ambito dell’agrimensura, era abbastanza qualificato nell’individuare qualsiasi cosa che potesse causare nel futuro dei problemi, ma nonostante i suoi modi di fare minuziosi sperava lo stesso di poter ritornare in città possibilmente il giorno successivo, se tutto fosse andato bene.

 

 Il contadino, Mr Dale, gentilmente acconsentì ad accompagnare John per la zona in trattore, e non senza una leggera sensazione di rimorso ascoltò il vecchio uomo mentre descriveva la storia del luogo, l’attaccamento che lui e la sua famiglia provavano per esso, e perché era così importante per lui riuscire a mantenerlo. Ma gli affari sono affari, e i soldi che Dale avrebbe potuto ricavare dai due campi in questione avrebbero fornito una caparra considerevole – sperando fossero abbastanza per superare la crisi finanziaria.

 

 La sera si stava avvicinando velocemente, e a John fece piacere che il rustico e scomodo tour non durasse a lungo. Dopo un breve periodo di tempo Dale fermò il trattore, indicando verso i due campi adiacenti che aveva intenzione di vendere. Per l’ora e mezza successiva John camminò nel fango e nell’erba con i suoi stivali, scattando fotografie del posto in cui il suo cliente desiderava costruire, mentre sfogliava le annotazioni della squadra di geometri, confrontandole con le sue osservazioni. Dale non volle accompagnarlo nella sua ispezione e rimase al lato di una stradina sterrata, osservandolo sconsolatamente.

 

 John finì la sua ispezione, ma proprio in quel momento i suoi occhi vennero catturati da una collina, a qualche miglio di distanza, una collina che si affacciava su tutta quella grande area. Sembrava essere disabitata, con quelli che parevano appezzamenti boschivi e qualche pascolo essere le sue uniche caratteristiche distintive. Nonostante la distanza, la collina sembrava sovrastare sull’orizzonte, e senza dirlo ad alta voce John intuì che fosse speciale, o unica, in qualche modo. Ritornando al trattore puntò il suo dito verso di essa, ma Dale sembrava essere restio dal parlarne, rispondendo a tutte le domande relative a quel soggetto con un gelido silenzio. Era il lavoro di John avere un portfolio sul terreno a cui dei clienti potevano essere interessati, e con quella che a lui pareva una meravigliosa vista campagnola ne sarebbe potuta valere la pena sfruttare quell’area, specialmente per un ricco uomo di carriera amante delle Highlands scozzesi.

 

 Nel breve tragitto di ritorno alla fattoria, John sentì il dovere di guardarsi in continuazione dietro le spalle, verso quella collina, ed era certa che il suo istinto da professionista stava dicendo lui di investigare su di essa più approfonditamente. Dopo aver insistito fastidiosamente, alla fine Dale rinunciò al suo silenzio e parlò brevemente di quel tema, con evidente disprezzo rivolto a quella inusuale caratteristica di quel terreno. Quando gli venne chiesto chi ne era il proprietario, anche se probabilmente Dale stesso lo era, alla sola menzione di ciò il contadino si schernì dicendo: “Nessuno possiede quel luogo, e nessuno ci va nemmeno più.”. Non disse molto altro, ma prima che John ripartisse per la locanda, il contadino poggiò una rassicurante mano sulla sua spalla, consigliandogli di lasciar stare quella collina, che era pericolosa e che sperava davvero di non doverne più parlare. Mentre Dale sembrava temere qualsiasi riferimento ad essa, l’impressione sembrava che il vecchio fosse dominato da una profonda tristezza; una di cui è meglio non sapere.

 

 Per quanto si era lasciato trascinare dalle avvertenze del fattore, non era la prima volta che John aveva a che fare con delle superstizioni locali – a cui lui, ovviamente, non prestava mai ascolto, altrimenti avrebbe perso vari buoni affari lungo il corso di tutti gli anni. Le storie locali che lo intrattenevano parevano ruotare sempre attorno ad una più vecchia e remota Gran Bretagna. In passato gli vennero narrati lunghi racconti su case abbandonate che portavano con sé la macchia di qualche azione criminale, o su boschi che non devono essere abbattuti per la paura di ciò che poteva viverci dentro, anche se nulla era in realtà mai accaduto. Non c’era alcuna base di fondo in quei miti, e mentre John si divertiva ad ascoltare le storie di fantasmi e strani esseri che aggiravano, aveva poco tempo da concedere loro nella sua tabella di marcia. Quelle storie erano davvero una divertente distrazione, ma al di là di un mero intrattenimento per il falò servivano davvero a poco.

 

 Tornando alla locanda, John era stanco e desideroso di andare a letto, speranzoso di concludere il suo affare il giorno seguente. Ma prima che si ritirasse nella sua stanza, decise di bere un piccolo drink al bar. Il proprietario sembrava abbastanza simpatico, e felice di avere qualcuno lì dato che la locanda era spesso alquanto vuota, ma il suo amichevole comportamento tramutò subito non appena venne menzionata la collina. Proprio come Dale, il proprietario del locale sembrava riluttante nel cedere qualsiasi tipo di informazione dettagliata sull’argomento e fornì solo delle parole di avvertimento, citando ‘maligna terra’ come ragione sufficiente a ciò che aveva appena detto.

 

 Dei sussurri e una sottile disapprovazione provennero dagli angoli più bui della stanza, i clienti sembravano turbati dalla domanda di John. Nessuno si avvicinò a lui, ma lui era pienamente cosciente del loro disagio. Il suo commento ‘si potrebbe pensare che la collina sia infestata’, che doveva risultare scherzoso, provocò solamente silenzio. La vacuità del suono intorno fece sentire John come se la sua presenza fosse sgradita. Rapidamente, finì il suo drink e camminò verso le scale che conducevano alla sua stanza, ma, come lo fece, una giovane donna poco più che adolescente si poggiò gentilmente alla sua spalla, e bisbigliò al suo orecchio ‘Per favore non andare alla collina, nessuno torna mai indietro.’

 

 Il proprietario era a portata d’orecchio e rapidamente riprese la ragazza, anche solo per aver menzionato la questione, poi si voltò per continuare la pulizia di un bicchiere di birra, dicendo in tono tremolante: ‘Dorma bene, signore. Spero potrai concludere i tuoi affari domani, e tornare a Londra in fretta.’

 

 A John parve più una provocazione che una semplice buona notte.

 

 

***

 

 

Il giorno seguente si alzò presto e scese al piano inferiore, per essere accolto nuovamente dal proprietario della locanda, ma l’uomo rimase zitto e John lo trovò molto strano, in quanto pareva invece essere un compagno piuttosto loquace, fin da quando lui era arrivato. Venendo respinto come molta gente contraria alle mattinate fa, John fece una leggera colazione, prima di avviarsi di nuovo verso la fattoria, per concludere l’acquisto dei terreni di Dale.

 

 Mentre guidava lungo le tranquille strade di campagna, godendosi il solenne paesaggio dal clima nuvoloso, la fattoria si stagliò all’orizzonte, ma, da distante, così fece anche la collina. Pensò che sembrava essere più imponente rispetto a come lo era il giorno precedente, con la sua storta figura che pareva approcciarsi al villaggio in lontananza, ma lesto scosse via dalla mente i suoi pensieri, considerandoli come l’effetto provocato dai paesani e dal loro superstizioso comportamento. Eppure, c’era qualcosa in quel luogo…

 

 Con solo qualche compito di amministrazione rimasto da eseguire, John era quasi sicuro di riuscire a finire il tutto per mezzogiorno, e poi intraprendere le sette/otto ore di auto per tornare a Londra, finendo le ultime cose in sospeso e riprendendo parte a la sua solita routine. Su una scrivania del suo appartamento stava una bottiglia di Balvenie whisky di trent’anni, con la quale riempiva un bicchiere ogni qual volta che portava a termine un importante affare. Questo veniva poi accompagnato da una o due sigarette – le uniche volte che fumava, non voleva soccombere a quell’abitudine -, un pasto da asporto e il giorno dopo di riposo dal lavoro, per fare ciò che voleva. Questi erano gli attimi che gli piacevano di più; la conclusione di una trattativa e la piccola pausa, prima di venir inviato nuovamente in qualche remoto angolo delle isole britanniche.

 

 Seduto nella casa del signor Dale, John si godette l’intimità e l’accoglienza del luogo e le sue antiquate decorazioni che gli rimembravano la casa di sua nonna, quando lui era ancora piccolo. Molti dei rivestimenti erano originali ed era sicuro che quella casa aveva protetto innumerevoli generazioni. Lo stesso Dale sembrava essere d’umore più sollevato rispetto al dì prima, mentre preparava al suo ospite una tazza di the ed un panino e John raccoglieva le ultime carte per il contratto.

 

 Mentre il contadino smanettava col bollitore e con un paio di tazze in mano, John volse il suo sguardo oltre una finestra vicino a lui, notando che l’abitazione si affacciava verso la collina senza nome, a poche miglia di distanza. Senza pensarci, si ricordò anche quelli della locanda erano diffidenti a quel luogo.

 

 Versando a John il suo the, Dale si sedette dalla parte opposta del tavolo della cucina, mescolando il contenuto della sua tazza pensieroso. Ci fu silenzio, un silenzio simile alla sera precedente, e nonostante l’ambiente caloroso John si sentì a disagio. Poi, alla fine, quell’inquietante sensazione si tramutò in fastidio. Perché semplicemente non chiedeva alle persone perché erano così spaventate? Erano solo superstizioni, ed era una follia immaginare che in quest’età moderna la gente venisse influenzata da così semplici fiabe.

 

 Dopo essersi trastullato cercando di rimanere calmo, John alla fine spezzò il silenzio: “Mr Dale, non vorrei sembrare sgarbato, ma fin da quando sono arrivato in questo paese, le persone sembrano comportarsi in modo strano quando si parla di quel colle, e mi trattano come se avessi commesso un qualche crimine se solo lo nomino.”

 

 “Forse è ciò che hai fatto,” rispose. “Forse non avresti proprio dovuto nominarlo, figliuolo.”

 

 “Con tutto il rispetto, volevo solo sapere a chi appartenesse, pensando che potesse utile alla zona, ad uno sviluppo immobiliare.”

 

 “Sviluppo immobiliare,” lo schernì il signor Dale. “L’unica cosa che sarebbe da fare con quel luogo è cospargerne il terreno col sale.”

 

 “È solo una collina.”

 

 “Solo una collina…” il vecchio contadino si spense per un attimo, mirando fuori dalla finestra lo scomodo soggetto della discussione.

 

 “Signor Dale,” disse John, questa volta con la voce più bassa, “sono stato in svariati luoghi pittoreschi in giro per il Regno Unito. Comprendo che molte zone abbiano le proprie storie, ottengano una brutta reputazione, o sembrano quasi terrificanti, ma per esperienza non ne ho mai trovata una che non fosse solo preda delle superstizioni. Ve lo posso anche dimostrare.”

 

 “Dimostrare cosa, ragazzo?” esclamò il signor Dale, improvvisamente timoroso.

 

 “Ho proprio voglia di fare una passeggiata prima del mio ritorno a Londra. Penso che ci darò un’occhiata.”

Alzandosi di scatto in piedi, ora l’agricoltore appariva più ansioso che arrabbiato. Il suo labbro superiore tremava e aveva l’aspetto di un uomo che aveva dovuto sopportare un enorme quantità di stress, che aspettava solo di essere scaricato.

 

 “Non devi andarci!” urlò.

 

 “Per cortesia, signor Dale. Non avevo intenzione di offenderla.” I pensieri di John ritornarono al contratto che teneva in mano, e con niente ancora firmato non voleva mandare tutto all’aria solo per la sua curiosità. Come avrebbe poi potuto spiegarlo al suo cliente?

 

 L’anziano uomo si lasciò cadere sulla sua sedia, con gli occhi vitrei, come se stesse combattendo una battaglia ormai persa contro i vecchi ricordi.

 

 “Persi mio figlio, in quel posto…” disse, biascicando.

 

 “Cielo, mi dispiace moltissimo, signor Dale. La prego di accettare le mie scuse, dimentichiamo questa faccenda.”

 

 “No, non è colpa tua.” Il vecchio sorrise, con un volto dolente. “Nessuno ormai parla di mio figlio. E non mi è permesso. La gente crede che parlando di lui, e degli altri, possa in qualche modo portare più disgrazia al paese.”

 

 Dopo una breve pausa, essa venne rotta dal vecchio: “Era un bravo ragazzo. Non siamo fatti per perdere i nostri figli. Oh Dio…”

 

 Affondando la testa nelle sue mani, iniziò a singhiozzare senza controllo. John non sapeva cosa dire. Poté solo avanzare la proposta: “Mi dispiace. C’è forse… c’è forse qualcosa che posso fare?”

 

 Asciugandosi le lacrime degli occhi, Dale si appoggiò tristemente allo schienale della sedia. Dopo un paio di profondi respiri si schiarì le idee e parlò, con voce tremante, trattenendo le sue emozioni: “Nessuno sa quando questo sia iniziato, e nessuno sa il perché sia iniziato.”

 

 “Iniziato?” chiese John, la sua compassione venne sopraffatta dalla curiosità.

 

 “Crebbi in questo paese, e già da quando ero ragazzo nessuno ne aveva idea. Certo, parlavano di vecchie storie, riguardanti una disputa tra due potenti famiglie che si prolungò per centinaia d’anni.” Dale si sporse in avanti per grattarsi via le stoppie dal suo mento, prima di continuare, “Ma nessuno conosceva i loro nomi, e nessuno nemmeno era disposto a parlare di quel colle. Gli atti di quella terra saranno probabilmente conservati al sicuro da un avvocato, con il loro proprietario che fa la bella vita da qualche altra parte, ignaro del prezzo che stiamo pagando noi tutti.”

 

 “Deve per forza esserci un documento dei proprietari!”

 

 “Sono sicuro ci sia, figliuolo, ma qui in giro non troverai nessuno che ne voglia sapere a riguardo. Negli anni, strampalate persone hanno ignorato gli avvertimenti e si sono avventurate laggiù. Di consuetudine i bambini si sfidavano a chi ci andava. Ma non sono mai tornati indietro.” Dale si trascinò in una posizione meno scomoda a sedere, mentre le lacrime ricominciavano a riempire i suoi occhi. “Ragazzo mio… lui non ascoltò. E proprio come gli altri, salì quel colle, e se ne andò.”

 

 “Lei sarà di certo andato a cerarlo?”

 

 “Sì, l’ho fatto. Ho provato a salire su quella salita, ma ero distrutto dal dolore proprio come mia moglie e gli altri bambini, e mi riportarono ai piedi della collina. Sapevano che avrebbe portato via anche me.”

 

 “Così, vostro figlio avrebbe potuto rimanere lì, magari ferito, e lei non è andato a cercarlo solo per una stupida superstizione?” L’idea che certe leggente e bugie potessero provocare la morte di un giovane fece infuriare John, ma si vergognò di sé stesso non appena quelle parole uscirono dalla sua bocca.

 

 Dale volò improvvisamente da una parte all’altra del tavolo, afferrando il suo sgradito ospite per il colletto della camicia, sbattendolo contro la vecchia stufa. “A chi pensi di stare parlando!?” gridò, la sua voce fece tremare il cuore di John. Per essere un uomo anziano, era ancora forte come un bue.

 

 Per un attimo pensò che il contadino potesse fargli del male, ma poi, altrettanto rapidamente come prima, Dale allentò la sua presa, volgendogli le spalle. “Quando hai tre figli da sfamare e una moglie a cui si è spezzato il cuore, ci pensi due volte prima di arrampicarti lassù. E nonostante vari ragazzi del paese abbiano aiutato mia moglie più volte, beh, nessuno mi avrebbe comunque lasciato andare. Non perché si preoccupassero per me – oh almeno, forse qualcuno lo faceva – ma perché vivono in constante timore per quel luogo, per ciò che ci vive. Per ciò che potrebbe scendere giù e farci visita.”

 

 Rimettendo in piedi la sedia, il vecchio contadino scarabocchiò la sua firma nei documenti rimasti, e dopo richiese a John di congedarsi, cosa che quest’ultimo fece scusandosi un’altra volta. Alla porta, entrambi si scambiarono un cortese saluto, e Dale aggiunse: “Lasciala stare. Se sei saggio, mi ascolteresti.”

 

 Nonostante fosse scosso dall’esplosiva reazione del fattore alle sue domande, John era comunque convinto di voler visitare il colle. Sapendo che i paesani avrebbero tentato di dissuaderlo, o addirittura di impedirgli fisicamente di farlo, decise di guidare dalla fattoria direttamente verso la collina. Mentre iniziò la strada, pensò che forse sarebbe potuto uscirne qualcosa di buono da quell’esplorazione. Avrebbe potuto sbriciolare le paure che assillavano quel luogo, ma era molto più che testardaggine a motivarlo. Voleva dimostrare di avere ragione, e se poi avesse scoperto una terra ideale per uno sviluppo edilizio, tanto meglio.

 

 Giungere fino a lì si rivelò ben più problematico di quanto non avesse previsto. C’era una piccola strada campagnola che conduceva al colle, ma era apparentemente stata bloccata dagli abitanti del paese. Un cumulo di lastre di calcestruzzo, mattoni rossi, vecchi pali di legno e altri materiali di scarto era stato abbandonato lì, senza troppe cerimonie sul sentiero, impedendo il passaggio di automobili, e rendendo difficoltoso il proseguimento a piedi.

 

 Notando fino a che punto la gente poteva spingersi solo per fermare chiunque volesse andare sul colle, l’impulso di John a voler salire fino alla cima della collina crebbe, salire per poi tornare al paese e dimostrare a tutte quelle persone quanto ridicole erano state. Dopo aver abbandonato la macchina all’ingresso bloccato, salì con un certo sforzo la pila di macerie, prestando attenzione a non ferirsi con ciò che sporgeva, e si incamminò successivamente lungo la stradina. Per un attimo, considerò la possibilità di scoprire sul colle gli orribili resti di un qualche precedente visitatore; pensieri che, per quei momenti, lo fecero dubitare sulle sue intenzioni.

 

 La strada era larga giusto per il passaggio di un’auto, ed era evidentemente stata lasciata in preda alla natura per vario tempo, con grandi buche che segnavano la sua superficie, e molti depositi di fango e ghiaia che ricoprivano qua e là l’asfalto. Quando ebbe il colle davanti ai suoi occhi, rimase colpito da quanto risultasse più grande di quanto avesse stimato. Da distante, pensava sarebbe stata una veloce escursione fino alla cima; guardando ora la sua vera pendenza, realizzò che ci sarebbero volute almeno due ore per poter raggiungere la sua cresta, ma solo se fosse riuscito a trovare un buon percorso. Diede un’occhiata al suo orologio; era ancora primo pomeriggio, ma pensò di aver abbastanza ore di luce per poter raggiungere la vetta e tornare indietro in tutta sicurezza.

 

 Fu in quel momento che iniziò a notare alcune delle caratteristiche più significative di quel posto. Il colle si trovava completamente solo, senza nessun’altra collinetta che lo contornasse, come s fosse stato lasciato lì in isolamento, in quarantena dalla terra stessa. La sua salita sembrava bel più distorta di quanto non lo paresse da distante; era asimmetrica, bizzarramente e leggermente in pendenza da un lato, la sua superficie era coperta da sporadiche radici di alberi, assieme alla selvaggia e incolta erba alta; un groviglio di filamenti gialli avvolgevano – o soffocavano – i verdi germogli dei ceppi che invadevano tutta la zona attorno. La cosa più sorprendente era la presenza di un tracciato artificiale che conduceva verso la vetta, cosa che rese felice John. Si era risparmiato l’incursione nell’erba secca e magra che consumava ogni cosa. Per un momento, John considerò che tutto fosse una bufala e che lui fosse vittima di un elaborato scherzo, in quanto il piccolo percorso sembrava tenuto bene, come se venisse usato spesso. Poi un pensiero molto più sinistro gli si infiltrò nella mente: il colle stesso stava pendendo a favore di John, incitando il visitatore, accogliendolo verso una sconosciuta destinazione. Allontanò rapidamente questa idea, e proseguì il cammino.

 

 Un vecchio cancello bloccò la strada. Era di legno, ma era evidentemente stato soggetto alla devastazione del meteo scozzese per molto tempo, la sua superficie era in parte divorata dal muschio verde e dalle muffe. Si aprì scricchiolando, John ne varcò la soglia e, mentre il cancelletto si richiuse dietro di lui, sentì un brivido percorrergli la schiena, accompagnato da una nauseante sensazione nella sua gola. Se egli stesso fosse stato superstizioso avrebbe detto che quel luogo fosse maledetto e che l’aria fosse cattiva, ma non era facilmente influenzato da certi pensieri. Sembrava più che non avesse ben digerito qualcosa che aveva mangiato che la collina ad essere animata dalle sue allucinazioni.

 

 Continuando a vagare lungo il tracciato, tentò di far passare il tempo nel miglior modo possibile. L’idea di dover fare ritorno durante la notte non era molto gradevole, con passi insicuri e invisibili, e poiché il pomeridiano cielo si stava già facendo più scuro di prima, John marciò verso l’alto con più decisione, emozionato dalla vista del paesaggio che avrebbe ammirato da lassù.

 

 La pendenza aumentò leggermente, e con essa anche la prima sporadica natura di quell’ambiente. L’erba alta reclamava ora tutto quanto eccetto il sentiero, e mentre qualche gruppo di alberi lo affiancava di tanto in tanto, poté intuire il motivo per cui i paesani avessero timore del luogo – i giunchi d’erba morta e l’edera circondavano ogni tronco, come se avessero qualche intenzione malevola. Alcuni alberi erano addirittura sradicati, caduti, parevano come se fossero stati spinti con forza verso il terreno, distrutti da quelle dita erbose aggrappate a quei gusci di legno come veri leviatani – ma per quanto l’idea fosse fantasiosa, in qualche modo quel versante del colle aveva effettivamente qualcosa che non andava, innaturale, e mentre John proseguiva la sua ascesa il gelo iniziò a pervadergli le braccia. Aveva già fatto varie escursioni in precedenza, il suo lavoro richiedeva spesso del coraggio per affrontare la natura selvaggia mentre si valutava una zona, ma qui era diverso. Sembrava che la terra stesse influenzando la temperatura, più di quanto non lo facesse il clima, rendendola sempre più dura da sopportare l’opprimente atmosfera del colle.

 

 Fermandosi per un momento, si sfregò vigorosamente le braccia tentando di scaldarle, voltandosi per valutare i progressi effettuati. Rimase stupito da quanto in alto era effettivamente giunto. E aveva camminato per non più di venti minuti, ma guardando verso la direzione da cui era partito doveva trovarsi ad almeno metà percorso. Ma come poteva essere? Ogni nuova valutazione sull’altezza del colle sembrava confondere e contraddire quella precedente. Era come se il luogo fosse in qualche modo deformato. John rise di sé stesso per essersi lasciato influenzare dalle apparenze di ciò che lo circondava. Nonostante ciò, il silenzio tombale lo preoccupava. Nessun uccello, nessun cespuglio frusciante e pieno di conigli, volpi, o anche insetti. L’intero colle pareva morto. No, non morto, pensò, ma nelle grinfie della morte stessa. Era, in ogni caso, inverno e avrebbe dovuto aspettarsi la sterilità della campagna, ma quella tranquillità lo turbava comunque.

 

 Catturò la sua attenzione anche un altro insolito fenomeno. Un’incoerenza. Qualcosa che contraddica la sua stessa memoria, le sue facoltà. La stradina dietro di lui era ora differente. Durante la sua salita, John era rimasto stupefatto da quanto il paesaggio della collina fosse invaso dalla crescita della vegetazione, tutto invaso meno che il piccolo sentiero che portava alla cima. Questo lo aveva portato a sospettare che venisse usato regolarmente, ma adesso, guardando dietro di sé, esso pareva essere stato inghiottito dalla natura, forse non del tutto, ma di certo molto più di quanto non lo fosse prima. L’erba era cresciuta sopra di esso, mentre i cespugli e gli alberi vicini suggerivano un terreno molto più accidentato – e nonostante ciò, il sentiero che invece era davanti a lui appariva curato in buone condizioni.

 

 Osservando il mondo circostante, e sotto di sé, qualsiasi cosa appariva in qualche modo distante, quasi come una visione. I colori non erano più molto vividi, i prati che occupavano la valle avevano perso la loro vitalità, e il cielo stesso pareva proiettare sul suolo quello che John avrebbe descritto “bagliore ingannevole”.

Lottò per respingere quelle sgradevoli sensazioni che stava sperimentando, e mentre proseguì per un breve tragitto la sua scalata, la nausea che aveva percepito non appena aveva messo piede in quella zona si fece risentire. La sensazione di freddo che avvolgeva i suoi arti progredì come una malattia, penetrandogli la pelle e facendolo rabbrividire fin dentro le ossa. John stava facendo del suo meglio per raggiungere la cima, ma di certo non era uno sciocco. Sapeva bene che non passava mese senza un annuncio fra le notizie che riportava lo smarrimento di qualche inesperto arrampicatore su una remota montagna, e nonostante il colle paresse avere una prospettiva ben più modesta, era ora disposto ad accettare la sua sconfitta, quasi accogliendola. L’ambiente circostante era minaccioso, e la sua attuale condizione fisica era sufficiente per motivare la ritirata.

 

 Nonostante non avesse raggiunto il suo traguardo, John pensò che se avesse fatto ritorno al paese anche dopo esser stato sulla collina, sarebbe stato sufficiente per mettere in dubbie le loro superstizioni. Probabilmente sarebbe ritornato in quella terra d’estate per rivalutarla, considerando la sua decisione più come un procrastinamento che un fallimento; far in modo che la gente del luogo avesse ragione sulla loro idea non era nelle sue intenzioni.

 

 Doveva avere una prova di essere stato in quell’escursione, ovviamente. Tirando fuori dalla sua tasca il cellulare, che usava per documentare il suo lavoro, John iniziò a rabbrividire non appena la gelida sensazione si insinuò nelle sue braccia, facendolo desiderare di poter essere riscaldato dal tiepido fuoco della locanda. Con qualche scatto, fotografò il paesaggio della collina attorno a sé, poi, per scherzo, scattò una foto a sé stesso, forzando un sorriso, con dei ciuffi d’erba e degli alberi come sfondo.

 

 Ciò che vide nelle immagini che scattò gli provocò dei brividi lungo tutto il corpo. Le prime foto della zona erano venute proprio come si sarebbe aspettato, ma l’ultima svelò qualcosa fra i cespugli che stavano dietro di lui – qualcosa che sembrava un edificio di qualche tipo. Il primo pensiero che varcò la mente di John fu quello di correre, di lasciare quel posto, ma era affascinato dall’idea di una costruzione ignota, separata dal mondo esterno da una barriera di foglie, rami, e leggende.

 

 Prendendo un profondo respiro, si insinuò silenziosamente tra le erbe, spostando le foglie di un largo e basso albero di lato. Lì, su quel colle ove i paesani temevano camminare, stava quella che pareva essere una vecchia cappella, o chiesa. Un piccolo campanile raggiungeva il cielo verso l’alto, con ampie vetrate istoriate – molte delle quali erano rotte – che decoravano il grigio guscio di pietra dell’edificio, che aveva passato giorni molto più felici.

 

 Il cuore di John accelerò alla sua vista. Forse era questa la ragione per la quale il colle era macchiato dalle superstizioni e dai miti. Una vecchia chiesa abbandonata era un fertile terreno per dei paurosi racconti. Nonostante ciò, quella chiesa non aveva esiliato la prudenza di John. Mentre si fece strada oltre il muro di foglie, erba ed edera rampicante, non poteva fare altro che seguire il suo istinto. Il sudore iniziò a gocciolare dal suo volto e il suo cuore pompava il sangue a ritmo incostante.

 

 Era ancora nell’intenzione di andar via dalla collina, ma più si avvicinava all’arco cieco di pietra che proteggeva la porta della chiesa, più si immaginava come la gente del posto sarebbe risultata più aperta allo spiegare il perché quel posto veniva temuto, se solo avesse saputo che John stesso ci era stato. Senza poter vedere l’interno della chiesa, gli abitanti del paese continuerebbero a far girare storie e false credenze su ciò che a loro rimase sconosciuto.

 

 La porta era si quercia scura, attraversata da delle bande di metallo nero come decorazione, e sfortunatamente sembrava essere bloccata. John le diede delle belle spinte con le braccia e, con sorpresa, accompagnata da un gemito dovuto agli anni, si aprì cigolando, creando un’apertura grande abbastanza da farlo passare. Sbirciando oltre la soglia, riuscì a notare che il pavimento di quella chiesetta era costellato dalla muratura crollata dal tetto. Un grande ammasso di pietre era ammucchiato nella zona dietro la porta, la loro massa totale l’avevano tenuta serrata, e nonostante adesso avessero ceduto un po’ riuscivano ad opporre sufficiente resistenza per impedire alla porta di aprirsi completamente.

 

 Aria fredda e viziata venne liberata dall’interno di quell’edificio, con odore stantio, di pietra abbandonata. Per un attimo John pensò a cosa dover fare. Era una costruzione così vecchia e lasciata marcire per decenni, se non secoli, ma il desiderio di dimostrare a tutti che quello che era riuscito coraggiosamente ad osservare era tutto ciò che c’era effettivamente da vedere di quella zona bruciava ancora intensamente nella sua anima, che non c’era nessun demone o fantasma, ma solo i frammenti di una storia dimenticata.

 

 Tirando fuori dalla tasca il suo cellulare, infilò la mano nella fessura formata dalla porta e scattò alcune fotografie con il flash. La luce illuminò l’intero ambiente interno, svelandolo ricoperto di macerie, e in fondo alla sala c’era quello che pareva essere un altare. Dal punto di vista di John, sembrava essere anch’esso costituito di roccia, poggiato su un gradino sopraelevato a qualche piede da terra. John rimase entusiasta dalla presenza di un’incisione scolpita sulla pietra dell’ara, ma non era in grado di decifrare le scritte da quella distanza. Sospirando, sapeva bene che l’unico modo per scoprire cosa quell’incisione dicesse era quello di entrare. Il timore di ferirsi o ritrovarsi intrappolato da qualcosa che sarebbe potuto cadere dall’alto era molto, ma la sua curiosità era ormai al suo culmine, il suo entusiasmo spazzò via la sensazione di nodo allo stomaco e il gelo che pervadeva i suoi arti.

 

 Dopo aver ricalcolato una seconda volta i rischi, John decise di procedere nel modo più silenzioso possibile per ridurre al minimo la probabilità di un crollo. In fondo, doveva solo dare un’occhiata. Prendendo un profondo sospiro, riuscì a scivolare oltre la porta, con un po’ di fatica, e ritrovarsi fra le tenebre che dominavano l’interno. Utilizzando la piccola torcia del telefono, ora gli era più facile esaminare quell’ambiente in modo più dettagliato. L’aria era decisamente più fredda, gli punzecchiava la gola mentre la respirava, e nonostante si aspettasse una temperatura più bassa rispetto all’esterno per l’isolazione offerta dallo spesso muro di pietra, la chiesa sembrava essere più una cripta che un luogo di culto.

 

 Procedendo con quanta cautela gli era concessa, cercando di non far crollare o smuovere i mucchi di macerie sul pavimento, John mantenne i suoi occhi puntati sul soffitto sopra la sua testa, temendo che un qualche tipo di forte suono potesse far cascare della roccia addosso a lui. La gravità dei danni subiti dall’edificio divenne più chiara, grazie ai piccoli raggi di luce che riuscivano a penetrare dalle ferite del soffitto; eppure, la sala rimaneva comunque avvolta per la maggior parte dall’oscurità. John lo trovò singolare, gli interni avrebbero dovuto essere più visibili. Era come se la luce fosse stata fagocitata dagli angoli più bui della sala, ma scacciò immediatamente questa idea fantasiosa, richiamando a sé quella sua fervida immaginazione che gli impediva di mantenere i nervi sotto controllo – ignoti e solitari luoghi riescono ad offuscare anche le più razionali menti.

 

 Dopo aver superato due grandi ammassi di macerie, prestando attenzione alle numerose e taglienti travi di legno spezzate che sporgevano, si ritrovò finalmente nella parte presbiterale della chiesa. Lì giaceva l’altare – una tavolata scolpita dalla roccia e levigata da abili e devote mani. Poteva ben immaginare quanto inquietante potesse apparire un prete di quell’epoca, mentre spargeva temibili prediche ai fedeli da quella posizione così poco illuminata, con la bava alla bocca mentre raccontava di dannazione e di forze demoniache che predavano le anime dei più deboli.

 

 Una sensazione di euforia e di eccitazione pervase la mente di John – trovarsi di fronte a qualcosa di così grande significato storico! Gli si insinuò nella testa l’idea che quell’ara potesse appartenere alla collina stessa, estratto dalla sua roccia madre, nato da processi molto più antichi dell’umanità stessa. Ma l’emozione di aver appena effettuato una così rara scoperta fece svanire velocemente quei pensieri. Così preso da quell’altare, quasi non si accorse del piccolo ingresso che stava alla sua destra, un’apertura che pareva condurre verso una camera sotterranea tramite una rampa di scale, verso una cripta o una tomba. Rabbrividendo al pensiero di cosa poteva esserci, sapeva bene che nonostante lo scetticismo che conservava, non si sarebbe avventurato lì sotto. Superstizioni o meno, girovagare al di sotto del pavimento di un edificio in evidente decadimento non era una saggia idea.

 

 Puntò lo stretto fascio di luce del suo telefono verso il presbiterio, per gettare una ben gradita occhiata alla serie di polverosi gradini che portavano in alto, verso la piattaforma ove era appoggiato l’altare. Un assetto dal quale preti e predicatori gridavano i loro discorsi centinaia di anni prima, ma aveva la sensazione che ciò non fosse naturale. Nuovamente, l’inquietante senso di disagio iniziò ad impossessarsi della sua mente mentre immaginava un adirato uomo in piedi là sopra, urlando di parabole e racconti pieni di disgrazie dall’antica origine ad un pubblico lì raccolto, confuso e spaventato.

 

 Avvicinandosi alla piattaforma, desideroso di leggere l’iscrizione sul muro retrostante da più vicino, la sua attenzione venne accidentalmente distolta dal distrutto pavimento, il suo piede aveva pestato una roccia spaccata dell’ultimo scalino. Inciampando bruscamente in avanti, la spalla di John si schiantò dolorosamente contro il bordo dell’altare di pietra prima che lui riuscisse a portare le sue mani in avanti ed arrestare la caduta sul piano freddo e rigido del podio. Il suono della sua caduta echeggiò tra le mura. Per un secondo, si immaginò di aver udito un rumore più tenue mescolato assieme, che sembrava essere vicino ma allo stesso tempo lontano. Come per risposta, alcuni piccoli detriti caddero dall’alto, sfracellandosi al suolo, preannunciando e minacciando una serie di ricadute ben più massicce e fatali. Il conforto pervase il corpo di John. Era sollevato che la parte di soffitto crollata non fosse stata più grande, e ancora più dal fatto che fosse caduta di fronte alla piccola porta e non sulla sua testa. Ma stava diventando sempre più dubbioso della sua sicurezza.

 

 Riguadagnando l’equilibrio, si alzò in piedi, afferrandosi la spalla che era stata ferita, mantenendo il suo sguardo rivolto verso il tetto con ansia. Se non per un delicato vento che sibilava tra i buchi e le fenditure del guscio che componeva quella struttura, il silenzio era onnipotente. Timoroso che qualsiasi suo movimento avrebbe potuto far crollare l’intero edificio addosso a lui, John aspettò diversi minuti prima di recuperare la già precaria certezza che non ci sarebbero stati ulteriori cadute di muratura. Poi, lentamente e con molta più attenzione di prima, si voltò e ammirò l’altare da più vicino. Delle iconografie religiose decoravano i suoi lati assieme a strani simboli frastagliati che non seppe riconoscere. Era facile immaginare una sorta di comunione avvenire in quel punto, ogni membro di una congregazione che sommamente di avvicinava – debole e malnutrito – a ricevere la benedizione da un sacerdote severo, che predicava più l’ira dell’amore.

 

 John avrebbe ammesso senza problemi a chiunque che lui non fosse il più creativo o sognatore del mondo, ma in quel dimenticato luogo era sorpreso di quanto vivide erano le sue immaginazioni. Poteva quasi vedere coloro che avevano pregato lì – pallidi volti che si proteggevano dal freddo pungente dell’inverno, corpi appassiti a causa dei raccolti che non avevano portato frutti, e paura di qualcosa di grande ed indefinito che soffocava i loro pensieri. Sì, la chiesa era davvero un decrepito e piccolo luogo che era per la mente facile da popolare con fantasmi ed anime lagnanti. Certo, lui non aveva modo di conoscere quanto corrette o inaccurate fossero le sue ipotesi.

 

 Scacciando via le fantasie di una mente delirante e ridendo di sé stesso per essersi fatto influenzare così facilmente da quel posto, lo sguardo di John finalmente cadde sull’iscrizione intagliata in alto, sulla parete dietro all’altare. Allungando la mano, fece scorrere le sue dita sui solchi e sui bordi sconnessi lasciati dallo scalpello dell’autore. Era chiaro che il messaggio inciso fosse fuori luogo, prodotto affrettatamente, con ogni lettera che non era allineata con quelle che la precedevano, suggerendo che era l’opera di qualcuno che aveva fretta – di chi desiderava passare il meno tempo possibile all’interno della chiesa. Indietreggiando un po’, la luce del suo telefono ora illuminava le parole, mettendole a fuoco, che recitavano:

 

 Coloro che abitarono a Dungorth presero possesso di questa collina nel 1472. Nel 1481 l’abbiamo abbandonata, con la speranza che coloro che abbiamo disturbato perdonino le nostre infrazioni.

 

 Meditando sul significato dell’iscrizione, rimase immobile e impassibile, mentre le apologetiche e piene di paura parole cominciavano pian piano a disturbarlo. O la regione era luogo di battaglie, essendo stata prima occupata da un’altra tribù, o forse gli originali abitanti della collina avevano sparso le loro superstizioni tramite miti e leggende, venendo poi successi dalle loro controparti del villaggio moderno.

 

 Inizialmente, il rumore non si era infiltrato nella sua mente, catturandogli l’attenzione. Fu solo quando iniziò a ripetersi con un ritmo irregolare che il suo pensiero ne riconobbe la natura. Faccia a faccia con l’iscrizione, con la schiena rivolta verso l’entrata della chiesa, la fredda e strisciante sensazione di gelo che aveva già sperimentato ritornò a pungergli le braccia. Il suo corpo tremava per contrastare la temperatura in cui era stato di colpo sommerso, il suo respiro era visibile dalle nuvolette piene di timore di fronte al suo viso. Le membra di John irrigidirono una nuova volta dalla paura, mentre un suono di un piede che strascicava sul pavimento di pietra veniva lentamente seguito da un altro. Ma chi avrebbe potuto esserci in un posto del genere? Non uno dei paesani, non con le loro superstizioni, con le favole di avvertimento e con i loro presagi sulla collina.

 

 I passi sembravano vicini, e mentre la sua sicurezza di sé diminuiva, i pensieri di John volsero alla fuga. Con il rumore che aumentava di volume, minacciando di avvicinarsi, era chiaro che lui avrebbe dovuto passare vicino a chiunque doveva esserci lì dentro, correndo, per poter raggiungere la porta. Non c’era nient’altro da fare, doveva riuscire a reprimere la intensa paura che lo aveva afferrato, scansarla dalla mente. Lentamente si girò per affrontare chicchefosse dietro di lui. Per un attimo pensò di dover fronteggiare gli stessi affaticati volti creati dalla sua immaginazione, ma la navata era priva di vita; vuota, eppure ancora satura del suono degli strascicanti passi sulla fredda pietra, come carta vetrata sulla pelle.

 

 Il sospiro gelato di John echeggiò non appena vide qualcosa muoversi con la coda dell’occhio. Voltandosi velocemente verso l’oscura porta che conduceva nell’entroterra, la testa di una indecifrabile figura si mosse, il suo corpo si sollevava con lentezza ad ogni passo. Il terrore scorse nelle sue vene, a livello tale che la sua razionalità si smontò per lasciare posto al puro istinto. Slanciandosi di scatto, saltò giù dal palco lasciandosi l’altare e l’iscrizione dietro di sé, sentendo una profonda ed inesorabile paura dentro di sé. Inciampando e cadendo, l’impatto instabilizzò ancor più i detriti del tetto e diversi pezzi di pietra dura si schiantarono sul suolo della chiesa, uno mancando di pochi centimetri il capo di John.

 

 L’uscita si palesava sempre più vicina, e i peggio pensieri iniziarono a pervadere la sua mente, mentre si affrettava oltre le masse di distrutti e dimenticati resti, la pelle morta di cui si stava liberando quell’antico edificio, senza rimorso. Per un momento si sentì circondato, bloccato da un membro del clero che predicava il peccato e il malvagio e dalla triste e smunta congrega che si radunava assieme per paura di ciò che si stava apprestando.

 

 E mentre i passi continuavano a trascinarsi tra lo sporco e la polvere, John recuperò la lucidità mentale e iniziò a scalare una grande montagna di pietra e legno distrutti – con la porta per la salvezza dall’altro lato – ma la sua curiosità calmò i suoi nervi per un istante. Il timore che percepiva sul suo stomaco gli diceva di continuare ad andare avanti, andare fuori, lontano da quel luogo, ma la sua sete di conoscenza era implacabile: doveva guardare. Prendendo un profondo respiro, si voltò con molta precauzione verso l’altare, lentamente puntando la luce del suo cellulare all’oscura scalinata per le cripte. L’aria era diventata ancora più fredda, il respiro di paura di John illuminato dalla flebile luce. L’oscurità sembrava offuscare il suo sguardo, ma quello che riuscì a scorgere era inconfondibile. Un’alta figura stava di fronte alla porticina, ed emanava l’impressione di un’umanità corrotta e torturata. Sia l’uomo che l’essere si scambiarono una lunga e silenziosa occhiata. Poi, una serie di stridenti sillabe uscirono dalla bocca dell’essere, di una lingua ampiamente dimenticata, e mentre il loro significato fosse di difficile comprensione per John, non era così per il disprezzo con cui venivano pronunciate.

 

 La figura di fronte alla porta si mosse in avanti, intimando i suoi travolgenti movimenti, e John urlò dal terrore, aggrappandosi disordinatamente alle macerie, cercando di raggiungere la sommità di quel cumulo e farsi strada verso la porta d’uscita. Ora non si preoccupava più di fare silenzio, i suoi disorganizzati movimenti echeggiavano per tutte le navate, e diversi ammassi di pietra si staccavano per l’ennesima volta dal tetto. Non appena raggiunse la cima di quel monte, proprio all’ultimo momento sbirciò sopra di sé, solo per vedere una roccia grande quanto un uomo piovere verso di lui. Saltando per la sua vita, ruzzolò giù dall’altro lato del mucchio di detriti. Il suo corpo rotolava in direzione del pavimento e un bruciante dolore lo avvolse.

 

 Schiantandosi contro la superficie di pietra a terra, l’impatto si fece sentire fin dentro le ossa, lasciandolo stordito per qualche istante. Barcollando sui suoi piedi, si guardò in basso solo per scoprire nuovo orrore. Un grande pezzo di legno si era impalato sul suo fianco destro, penetrandolo di vari pollici di lunghezza. Il sangue sgorgava dalla ferita mentre, istintivamente, cercò di estrarre il legno, che grattò l’interno della lesione prima di essere finalmente rimosso.

 

 Si lasciò fuggire un grido d’agonia, e non appena lo fece si voltò verso il rumore che proveniva da dietro. Il dolore al fianco era una tortura, ma la vista che gli si profilava era peggiore di qualsiasi altra sensazione. La figura stava distorcendosi sul ventre, trascinandosi ad una velocità insinuabile tra le macerie, diretto verso John. Il suo corpo era incenerito, con i residui rimanenti di un bendaggio che scivolavano con destrezza sulla superficie frastagliata della chiesa.

 

 Scosso dallo shock, John era paralizzato dalla paura. Poi una realtà gli si parò in mente: la fuga era vicina. Zoppicando verso la porta, con la sua lieve apertura ormai a portata di mano, spinse il suo corpo oltre quel piccolo divario, verso la luce esterna. La porta applicava pressione alla sua piaga, provocando scariche di supplizi lungo tutto il suo addome. Con un ultimo sforzo, urlò e si lasciò cadere sul terreno, all’esterno. Guardò poi in quella fenditura l’inumano essere, e il suo muso, che era rimasto dentro, con un braccio sporto in avanti, sputando un assordante grugnito rivolto al tramonto.

 

 John non perse ulteriore tempo per osservare quella creatura, si alzò in piedi con la mano ormai ricoperta dal sangue con cui si stringeva la ferita aperta. Fuggendo il più velocemente possibile da quel luogo, lasciandosi la chiesa dietro le spalle, era convinto di riuscire ad udire delle voci mentre scappava – le urla e le aspre proteste del clero e dei credenti di un tempo, beffardi, risentiti e disprezzati.

 

 Nella fretta, perse l’orientamento e la retta via, non essendo in famigliarità con il contesto. Preso dal panico, cercò di scendere il più veloce possibile, ma era ormai colto dal disorientamento, e prima di capire il perché e il percome si ritrovò circondato da un labirinto di lapidi rotte e rovesciate.

 

 Stordito e col cuore alla gola, non gli importava più di dove si trovasse, o almeno fin tanto era riuscito ad abbandonare la chiesa e il suo ospite dietro di sé. Dopo aver ripreso il fiato, iniziò ad esplorare il vecchio cimitero, alcune lapidi erano grandi e intimidatorie, altre umili e scheggiate. Poi, come subendo gli effetti di un misterioso veleno, il mondò iniziò a vorticare, e mentre cercava di riprendere il respiro per un’ultima volta, le lapidi assunsero minacciose ed infauste forme; incombendo su di lui, bloccando la luce, lo fissavano dall’alto. Non era più un cimitero il luogo in cui ora si trovava, ma un anello di pietre distrutte, alte almeno due metri. Avevano subito molte tempeste – antiche e dimenticate – ben prima che il primo mattone della chiesa venisse posato.

 

 Sentendosi costretto ad avvicinarsi ad una di esse, allungò una mano, toccandone la superficie ricoperta di muschio. I ricordi di un ignoto passato attraversarono la sua mente, e si sentì sul punto di svenire. Le visioni iniziarono ad annebbiarsi e il mondo roteò, accompagnato da un’orrenda nausea che gli inondò i sensi, una nausea così intensa da obbligarlo ad inginocchiarsi, e mentre lui tentava di lottare contro la sua morsa, in pochi secondi si ritrovò accartocciato a terra, con la piaga sul fianco che si gonfiava e pulsava ad ogni battito del suo cuore. Steso sulla sua schiena, fissando sopra di sé, il cielo pareva tremare e tutto ciò che c’era intorno iniziò a distorcersi, come se si stesse distaccando dal resto del mondo, come se venisse visto attraverso una spessa lente di vetro conica. La luce s’incurvava all’interno di quella lente innaturalmente, e un velo nero ricoprì il mondo circostante, John guardava in quell’abisso. La coscienza lo abbandonò.

 

 Si risvegliò nel silenzio di quella terra. I ciuffi di erba frastagliata sfioravano la sua guancia, mentre il vento li trasportava via con sé, verso un’ignota destinazione. Il cielo era nero, nessuna forma di vita si muoveva. John non seppe per quanto tempo era rimasto incosciente, ma la coltre di stelle sopra di lui gli suggerì che senza dubbio erano state almeno alcune ore. La nausea c’era ancora, non intensa come prima, ma la ferita al fianco ancora piangeva del sangue. Alzandosi in piedi, divenne chiaro che il suo corpo era ancora sotto l’effetto di qualsiasi maledizione ci fosse su quel colle. Sotto l’intossicazione di quella roba, il mondo sembrava posseduto dai fluidi, sembrava acquoso, ma chiudendo i suoi occhi per qualche istante John sentì di essersi in qualche modo abituato a quella sensazione, o almeno era riuscito a riorganizzare le idee per ricercare un percorso per casa.

 

 La fortuna era dalla sua parte, la luna era ben visibile in cielo, anche se era solo mezza e calante. Gli fornì sufficiente illuminazione per muoversi in quello strano mondo e stimarne le forme che lo circondavano. Non era sicuro se era rimasto nello stesso punto in cui era svenuto, in quanto le antiche lapidi, che ancora ricordava vivamente e senza alcun dubbio, non si vedevano da nessuna parte. Ma mentre se ne stava con la mano che invano cercava di fermare il sangue al fianco, una terrificante realizzazione si fece strada nella sua mente. John trovò difficile da trasmettermi a parole cosa fosse, lo descrisse come ‘le regole della natura ribaltate’. Nulla pareva avere senso, per un momento non seppe nemmeno chi fosse, perché fosse lì e quale abominevole sorgente stesse causando tutto quel malessere alla sua persona. Gli parve di mantenere i ricordi relativi al colle e alla chiesa, ma erano turbolenti e disconnessi. Fugaci momenti di consapevolezza venivano scacciati e sostituiti da totale confusione. Ma al di là del tormento, una costante rimase: il suo istinto lo supplicava di abbandonare quel luogo immediatamente. In quello stato confusionale della mente, non riusciva a comprendere quale era la via che lo avrebbe condotto ai piedi del colle, e quale invece lo avrebbe fatto salire fino alla cima, verso chiunque o qualunque cosa ci fosse lassù. Quell’ebbrezza dei sensi era un’esperienza oltre ogni altra – il mondo iniziò ad andare in fumo.

 

 Un odore di aria malata riempiva l’aria. Che fosse il suo stesso vomito o solo uno scherzo dei sensi non lo seppe, ma in quello tanfo c’era dell’altro. L’odore di umidità, mescolato con un preoccupante effluvio di capelli bruciati. Divenne così intenso che iniziò a far lacrimare gli occhi di John, favorendo solo il disorientamento. Nonostante i suoi occhi fossero offuscati dalle lacrime e quel mondo avesse qualche cosa di storto, percepì quella che poté descrivere come una presenza. Quell’odore stantio divenne più pungente e John cominciò a tossire. La risposta a quel rumore fu ben distinta, e anche se lui era convinto che fosse impossibile conoscere la mente di una persona – qualcosa si stava avvicinando, con malizia e odio, assieme ai suoi accompagnatori.

 

 Il terrore si tramutò in fugace obiettivo, mentre passeggiava silenziosamente tra i cupi alberi e oltre la fitta erba, con la speranza di ritrovare la via d’uscita. Barcollando e disorientandosi in quell’oscurità, il dolore al suo fianco peggiorò e il pensiero di morire da qualche parte su quel colle, dove nessun suo caro lo avrebbe potuto ritrovare, si manifestò. Per un istante pensò di esser sul punto di crollare un’ennesima volta, ma mentre quella sorta di maledizione si rafforzava, ora era anche accompagnata dal suono dell’erba secca e dalla morta flora che sfrusciavano, come se qualcosa stesse affacciandosi oltre di esse, spostandole. La visibilità di John era ora così debole che non riusciva più a comprendere quale fosse la strada fosse quella giusta e quale invece quella per tornare indietro, e nei radi momenti di lucidità si rifiutava all’idea di dover ritornare alla chiesa, o alle pietre, o alle lapidi – non era ben sicuro di cosa effettivamente fossero state. Si era decisamente perso, e quella cosa che chiamava quell’orribile colle ‘casa’ si stava avvicinando.

 

 Tacque.

 

 Ma né il silenzio né l’oscurità potevano fargli da scudo. Alcun oblio poteva far fronte a ciò, a una malignità che solo la terra sapeva quanto antica e che ora perseguitava l’uomo che una volta aveva riso in faccia alle superstizioni e alle leggende. L’aria divenne più pesante a la piccola luce che riusciva a fornire l’argentea luna dall’alto diminuì, come se venisse risucchiata dalle profondità di quella terra, senza scampo. E poi, il nulla. Il rumore di rami ed erbacce calpestati o spostati cessò, e al suo posto un bianco silenzio, quasi insopportabile.

 

 Innervosito, John poteva percepire l’unica traccia di speranza rimasta abbandonarlo. Quello era vicino, il suo  respiro si poteva sentire nell’aria; disgustoso, rancido, come di qualcosa che da tempo viveva e ancora non aveva rinunciato al desiderio di provocare piaghe e dolore. Un movimento. Delle foglie morte scricchiolarono sotto al suo peso, l’alta erba che pareva essere impenetrabile, dominante, si piegava e si spezzava ad ogni suo passo strascicato. L’unico pensiero di John fu quello di nascondersi. Lentamente, il suo respiro divenne irregolare e ansimante, si immerse tra la fitta sterpaglia, e rimase fermo; silenzioso e terrificato.

 

 La presenza era ancora più limitrofa, e in quel buio lui pensò di riuscire a vedere una vaga figura, delle volte, che vagabondava lì attorno. Girava lentamente, avvicinandosi ed allontanandosi come se stesse controllando meticolosamente la zona. Alla fine, il suono dei suoi pesanti passi sembrò farsi più distante, per poi cessare. John esalò un respiro di sollievo.

 

 Una mano toccò il suo viso.

 

 L’istinto di sopravvivenza divampò in lui e con un urlo di paura si scansò e rotolò sul fianco. Il feroce dolore gli pervase tutto il corpo, il suo stesso peso e i suoi movimenti avevano spinto la ferita contro una sporgenza del terreno irregolare. Un grave grugnito sfuggì da qualunque mostruosità ci fosse davanti a lui e, senza sapere dove andare, John cominciò ad essere pervaso da un nuovo impeto, balzando in piedi e scattando verso una direzione casuale, nella vana speranza che lo avrebbe condotto fuori da quella follia. Da quell’incubo.

 

 Gli alberi e l’erba scorrevano ai suoi lati, in quella notte nero pece. Quel miasma di malattia e di capelli bruciati circondava tutto, suscitando dei ripetuti conati mentre lui correva. Alla fine aveva un’idea di dove si trovava, aveva ritrovato il suo orientamento e sperava di non doverlo più perdere. La chiesa si profilava confusa e indefinita davanti di lui. Qualcosa sfrecciò fra gli alberi alle sue spalle e in un momento o l’altro lo avrebbe raggiunto. Almeno ora sapeva che direzione prendere, correndo come non mai, verso il sentiero che aveva asceso quel giorno, una logora traccia che lo avrebbe portato alla salvezza. Ma quella zona appariva sconosciuta e innaturale. Le forme e le strutture stesse di quel paesaggio sembravano essere state corrotte da una malevola e ignota forza. Doveva proseguire, per poter allontanarsi da ciò che lo perseguitava. Il sentiero doveva essere in quella direzione!

 

 Successivamente, attraversò una coltre di cespugli ed alberi per affacciarsi ad una radura. Il suo cuore si fermò, non seppe nemmeno lui per quanto tempo. Lì c’era la chiesa, ma in qualche modo appariva diversa. Di notte l’edificio pareva possedere una figura più bizzarra e sinistra rispetto a quella diurna. Per un momento John la immaginò non costruita in pietra, roccia o calcestruzzo, ma di legno e ricoperta di piante rampicanti, sollevandosi vertiginosamente verso il paradiso, che da molto tempo era stato sputato lontano da quel mondo.

 

 Lo scricchiolio di foglie calpestate si avvicinò, una nuova volta, mentre John incespicava e respirava a fatica. Il dolore che provava dalla ferita era diventato quasi insopportabile, ogni passo in avanti era accompagnato da un’interna, abbattente e violenta sensazione. Obbligato dal suo stalker a passare di fronte alla facciata della chiesa, John cercò di muoversi come meglio poteva, vacillando e zoppicando, debole ed esausto, addentrandosi in una fitta rete di arbusti e rovi. I suoi vestiti si impigliavano e i taglienti rami delle piante graffiavano le sue braccia e il suo volto. Non c’era nient’altro da fare, non sarebbe riuscito a battere in velocità ciò che lo inseguiva. Guardandosi dietro le spalle, vide chiaramente che qualcuno si stava squarciando una via attraverso i rami, a pochi metri di distanza.

 

 La paura scorreva nelle vene di John, mentre il suo inseguitore lo straziava. Quando si lasciò sfuggire un urlo di dolore e agonia la cosa sembrò fermarsi per qualche istante, osservandolo soffrire, con le sue mani tagliate e infilzate dalle spine. John afferrò e scansò la selva di fronte a sé, tentando la fuga, e con una scarica di brividi che gli pervase le ossa, la figura dietro di sé lo fissò, producendo uno straziante ruggito – qualcosa tra la risata e un cenno di soddisfazione. Iniziò a muoversi a gran velocità, evadendo dalle sbarre della gabbia di rovi con facilità, avvicinandosi rapidamente.

 

 Con un grido incredulo, John si liberò dall’abbraccio delle spine, ma non dalla disperazione. E la chiesa stava davanti a lui, per l’ennesima volta, beffarda, deformata in modi che nessun architetto umano avrebbe concepito. Con ancora della voglia di lottare rimasta, superò la chiesa una seconda volta mentre il suo carnefice si faceva strada nella boscaglia, correndo frettolosamente verso di lui. John aumentò il passo più che poté, ma riusciva a raggiungere davvero una velocità effimera. I cieli si aprirono, e cascate di un ignoto liquido si riversarono sulla chiesa, scorrendo fino al terreno che divenne in breve tempo zuppo e allagato.

 

 La forza di John calò fino a farlo cadere in ginocchio, ammise la sua sconfitta mentre il predatore portava la fine. E poi, la salvezza. Da lontano risplendeva uno squarcio di luce. Una luce che irradiava dirompeva oltre quell’ambiente impenetrabile di cespugli. Qualcosa da raggiungere. Da sperare. Un faro da seguire, una luce al di fuori di quel tremendo colle. Come il suono del suo inseguitore si apprestava, creando confusione in quell’erba alta nell’oscurità, una ultima scarica di energia risvegliò John dal terribile destino a cui si era abbandonato. La vista di quel raggio di vita aveva rianimato quel poco di speranza rimasto. Gridò agonizzante mentre si sollevò in piedi, con la pioggia che lo flagellava, fin nelle ossa, nella piaga al fianco. Ma ormai non importava. Ciò che contava era quella luce, e la salvezza che prometteva. Zoppicando il più velocemente possibile nella sua direzione, si fece strada tra le rampicanti e i rami dell’intricato bosco, la paura batteva qualsiasi dolore che poteva essere provocato dalle spine che tagliavano e graffiavano la pelle.

 

 Stava facendo progressi, e la luce iniziava ad apparire sempre più grande; abbagliante e piena di vita. Era chiaro ora che stava scendendo il versante del colle, dato che quando inciampò e cadde, ruzzolò in direzione della sua traiettoria. Aumentò anche la sua velocità. Flash di ricordi non suoi invasero la sua mente, immagini d’ira e d’odio annebbiavano la sua vista; visioni della chiesa, priva di vita ma comunque non vuota – come il sacerdote sollevava le mani al cielo, così i fedeli abbassavano i loro capi.

 

 La confusione stava iniziando a insinuarsi nella sua testa e l’odore di capelli bruciati riempì l’ambiente circostante, di nuovo. Sebbene fosse di una certa stazza, poteva udire il suo inseguitore aumentare il passo, e sembrava essere molto più agitato di prima. Adirato, forse addirittura frustrato. John venne preso dal panico, il sangue ora fuoriusciva dalla ferita senza sosta. Così come la luce appariva più vicina; la promessa di un miracolo, una salvezza, e una fuga vicina; volò giù da una ripida pendenza erbosa, scivolando nel fango fresco e cadendo con velocità verso il terreno. Dolore, fatica e disperazione lo dominavano mentre poggiava il suo corpo, combattuto, sul tronco di un grande albero sradicato.

 

 Gli sconvolgenti passi si stavano apprestando, e intanto John pensò tra sé e sé che lui e coloro che aveva immaginato nella chiesa dovevano essere stati entrambi vittima di quel crudele e maligno essere che chiamava quel colle casa.

 

 “Forza, figliolo. Alzati! Alzati!” Urlò una voce, quasi soffocata dalla feroce confusione di terra ed erba dietro di lui.

 

 Il mondo parve distorto, ma con la coscienza pronta ad affrontare quello scherzo della mente, la chiarezza ritornò e John realizzò dove si trovava. Il suo corpo non era disteso sull’albero caduto, bensì su un cancello di legno che decretava la fine del regno di quel luogo.

 

 Qualcosa era vicino. Quella cosa che lo stava perseguitando nel buio da pochi metri di distanza.

“Muoviti, ti sta per prendere!” Gridò la famigliare voce di Dale.

 

 

 Con un ultimo sforzo, con l’ultimo briciolo di vita che aveva conservato, John R—— aprì il cancello, cadendo di faccia in una pozzanghera sul bordo della strada.


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